Descrizione
Un’evoluzione lenta e costante, fatta di tanti impercettibili mutamenti, caratterizza fin dalle origini l’intero mondo vivente. Se a modificare il baricentro di un equilibrio tanto flessibile e dinamico sono solitamente le leggi della natura stessa, questa volta è l’uomo, responsabile del cambiamento climatico e degli effetti che esso ha su interi ecosistemi.
Nell’intento di ritrovare le proprie condizioni di vita ideali in un mondo ormai alterato, gli animali migrano in altri territori, modificano le proprie abitudini e, talvolta, la propria morfologia.
Questo fenomeno si manifesta in tutta la sua evidenza anche nel nostro territorio, dove colpisce in particolar modo i volatili. Le osservazioni del biologo Francesco Mezzavilla sul monte Pizzoc e a Colle San Giorgio (vicino ad Asolo), svolte nell’arco di più di vent’anni, dimostrano la diminuzione - talvolta la scomparsa - di alcune specie di uccelli nel tempo. È stato segnalato un calo del 30% della popolazione di rondini (1) nella provincia di Treviso, insieme ad una generale situazione di precarietà che riguarda gli uccelli migratori; essi spesso raggiungono in anticipo i siti di nidificazione andando incontro a una possibile scarsità di cibo e spazi. Proprio per questo motivo appare a rischio la permanenza nel trevigiano della balia nera (2), un passeriforme che ad oggi arriva in Italia 15 giorni prima rispetto a quanto avveniva in passato; è compromessa anche la riproduzione del gallo cedrone (3), presente sulle nostre Prealpi Trevigiane, dove fatica a trovare il proprio habitat che viene spinto ad altitudini sempre più elevate a causa dell’aumento delle temperature.
Ci sono persino specie che negli ultimi anni riescono a svernare nel territorio veneto, sebbene fossero solite a migrare nel Meridione durante le stagioni più fredde. L’esempio più lampante è quello dell’airone guardabuoi (4), specie originariamente svernante in Africa e che negli ultimi vent’anni si trova progressivamente a svernare anche nel Quartier del Piave trovandovi ambienti adatti.
La sopravvivenza degli uccelli alle temperature invernali preclude inevitabilmente quella degli insetti di cui si nutrono; in termini di specie e quantità, il grado di diffusione di questi animali nel nostro territorio ha conosciuto dei cambiamenti significativi negli ultimi anni. Recentemente in Veneto si sono stanziati diversi artropodi, a partire dalle locuste (5), classificate dalla FAO come gli insetti migratori nocivi più dannosi al mondo: in grado di formare sciami di milioni di individui, possono distruggere intere coltivazioni in pochissimo tempo, causando carestie e gravi crisi alimentari. La loro presenza costituisce un importante campanello d’allarme: uno studio pubblicato su Science Advances da parte di tre ricercatori della National University of Singapore e della Stanford University, ha mostrato che le "invasioni" di locuste sono correlate a eventi meteorologici estremi - in particolare forti piogge e forti venti - la cui frequenza e intensità sappiamo essere collegate, a loro volta, ai cambiamenti climatici in atto anche nel nostro territorio.
Ad essersi insediate nei nostri territori sono inoltre varie specie di zanzare, tra cui la nota tigre (6), originarie dalla Valle del Nilo e altre zone subtropicali e tropicali, che a causa dei traffici commerciali a partire dal 1990 sono arrivate per la prima volta in Italia; si sono quindi adattate ai nostri ambienti e ad un clima sempre più caldo dovuto al surriscaldamento globale. D’inverno non fa più molto freddo, quindi svernano più adulti di zanzara che a primavera fanno ripartire l’infestazione sempre prima.
L’innalzamento delle temperature ha portato effetti pesanti anche nel mar Mediterraneo, dove si verificano sempre più spesso alterazioni nella biodiversità e nell’equilibrio tra le specie. Ad esempio, nel litorale adriatico si è verificata una generale moria di vongole (7): questi molluschi, ormai insofferenti al surriscaldamento delle acque, non producono più uova.
Un altro fenomeno ben visibile che negli ultimi anni sta colpendo l’intero bacino del Mediterraneo, e in particolare il Golfo di Trieste (8), è la sovrappopolazione di meduse. Come spiega Giovanni Chimienti, Biologo Marino e Zoologo presso il Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, una delle cause dell’aumento esponenziale di questi animali è l’aumento della temperatura dell’acqua, provocato dal riscaldamento globale, che ne favorisce la riproduzione massiccia. È bene controllare questo fenomeno: le meduse ci preoccupano per le ustioni, ma rappresentano un pericolo anche per la pesca.
Il cambiamento climatico, dunque, non colpisce solo zone del Pianeta per noi remote come i poli o la foresta Amazzonica, ma si manifesta chiaramente attorno a noi: basta osservare la fauna che ci circonda, la cui alterazione è solo uno dei numerosi risultati dell’innalzamento delle temperature.
(Redatto da Agnese Possamai il 04.06.2024)